mercoledì 18 aprile 2012

Se il suicido è un semaforo pericoloso del nostro tempo: come i media aggirano il problema.




E' di ieri un bellissimo articolo di Repubblica, che riporta la storia di una mamma e del suo accorato appello ai giovani "ad andare via dall'Italia, purchè non facciano la stessa fine di sua figlia". La signora, in una lettera al quotidiano della Calabria, ha voluto raccontare la verità sulla morte di sua figlia, morta suicida il 4 Aprile scorso buttandosi dal balcone di casa. Non ci sta sua madre a sentirsi dire che la figlia era affetta dalla depressione. Non vuole auto-convincersi che la figlia sia morta senza un perchè, in preda ad una condizione irrazionale e involontaria come quella della depressione, fenomeno che richiederebbe un approccio molto più complesso di quello che siamo soliti riservargli, al quale bisognerebbe accostarsi con molto più rispetto e con meno pressappochismo. La figlia ha scelto di morire, e le motivazioni della sua morte interessano tutti noi. E' la struttura del sistema socio-culturale e storico italiano la fonte di tutti i mali, anche di quelli di questa ragazza di ventotto anni. Questa morte non è immotivata, questa morte non è casuale. Essa si inserisce in una scia di morti per suicidio, di cui la stampa e i media in generale  si sono affrettati ad occuparsi, senza usare, tranne che in questa occasione, il rispetto e la delicatezza giustamente dovuti. Ci si chiede perché si ricorra a questo gesto estremo, perché quando tutto e tutti ci dicono che siamo nella fase discendente della ormai nota crisi economica? Parliamo di storie normali, parliamo di noi. Dovremmo parlare di una ragazza, di una mamma, di una neolaureata eccellente, di una donna con potenzialità illimitate. Possiamo solo parlare di una ragazza morta a ventotto anni, perché incapace di immaginarsi un futuro, alle prese con la consapevolezza che i principi di meritocrazia e di lealtà a cui si è ispirata tutta la sua azione avrebbe fatto meglio a scambiarli con un compromesso.
Di che grado di civiltà è dotata una comunità che non si cura del benessere del singolo, che lo lascia morire, che finge di non vedere, che non tenta di arginare, che non vuole o non può? Dove è finita la pietas, che tutto dovrebbe muovere e tutto sostenere? In quale ambito si colloca l'utilizzo dei media? Quale ruolo essi potrebbero avere in un processo di ri-moralizzazione della società e di re-investimento etico? Pare che, ad una semplice osservazione del modo in cui i media hanno trattato in queste settimane le molteplici notizie di suicidio, essi non prestino particolare attenzione alla problematica, limitandosi a fornire la notizia e a liquidarne le ragioni, facendole coincidere con le difficoltà causate dalla crisi generale. Ho sentito parlare raramente di precarietà dell'anima, ho sentito parlare altrettanto poco della persona, molto della personalità. Mi rifiuto di pensare che un grande dramma umano possa essere discusso alle cinque di pomeriggio, in un salotto televisivo, da opinionisti che tutto sanno e nulla conoscono. Mi rifiuto di credere che questa sia l'unica modalità di cui i media possono avvalersi per trattare la questione. Mi rifiuto di credere che non si possa fare di meglio. Se, come diceva Pasolini, "le parole che vengono dalla televisione cadono sempre dall'alto, anche le più vere", mi chiedo, in nome di quale qualità e profondità discorsiva questa gente critichi e sentenzi sulle vite degli altri? Quanta e quale percezione del problema abbia. Conosce i loro nomi? Si finisce così per trattare le vite degli altri solo come casi di cronaca, dimenticandosi che quelle donne e quegli uomini hanno un nome, una storia, dei legami, delle speranze. Tutto distrutto e disatteso, da quello stesso mondo e dalla stessa comunità che magari le migliaia di opinionisti, padroni, e prima ancora individui hanno contribuito a plasmare. Si finisce così per scivolare nel baratro dell'elencazione, pescando a caso, una tantum, per far finta di ricordare, per fare in modo "che ciò non accada più". La finta vicinanza  è forse peggiore di una palese lontananza. Certo, retorico e moralista questo discorso, magari una cantilena. Magari, chissà, forse repetita iuvant davvero stavolta. Magari, spero, la prossima volta, che qualsiasi ragazza ci penserà due volte prima di tapparsi le ali da sola. Magari, in una prossima vita, i media sapranno anche essere solidali. O forse non è il loro compito?


L'articolo de La Repubblica,di seguito:
http://www.repubblica.it/cronaca/2012/04/17/news/la_madre_di_una_laureata_credeva_nel_merito_e_stata_delusa_e_si_uccisa_la_colpa_di_tutti_noi-33446663/

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