sabato 9 giugno 2012

Assenza ed assenti: uno stile di vita.



È l’una di notte. Dormire? Non ne parliamo nemmeno: terremoto, purtroppo, non è una parola che fa rima con il verbo dormire o qualsiasi altra locuzione presente nel paradigma del sonno.
Sono giorni che tento di farmi venire in mente un soggetto intelligente su cui scrivere. E sono giorni che niente soddisfa la mia vena da scrittrice sfigatella e alle prime armi. Potrei scrivere della mia nevrosi da universitaria, potrei scrivere della mia insoddisfazione da ventitreenne, potrei scrivere dei pensieri insulsi che mi passano per la testa, potrei scrivere della mia strana ossessione a studiare e osservare per ore le persone che mi passano accanto. Potrei scrivere della paura di perdere o sbagliare treno, della dose quotidiana di imbranataggine e goffaggine che mi porto nella borsa. Potrei scrivere di guerra e pace, di onesti e disonesti, ragionare sui massimi sistemi, parlare dell’aumento della benzina, della nuova IMU.
E, invece, mi va di scrivere dell’assenza e degli assenti.
L’assenza è una condizione molto più ricorrente di quanto si possa mai immaginare. 
La avverti maggiormente se la fonte è qualcuno che hai conosciuto  ed ora non c’è più. Te la senti addosso quando hai litigato con qualcuno e pensavi di bastare a te stessa.  La porti con te, quando ti sei lasciata a casa, quando, con le cuffie alle orecchie, immagini come sarebbe il mondo in tua assenza: qualcuno l’avvertirebbe mai la tua assenza?  Così si dimostra che l’assenza è molto più presente nelle nostre vite di quanto sembri. È molto più presente in quanto è tangibile, visibile, inascoltabile. L’assenza va a braccetto con un’altra condizione, il silenzio. Un silenzio molto più rumoroso del caos di qualsiasi capitale alle otto del mattino. 
E’ così, in compagnia del  mio silenzio, che percorro, spesso, i tragitti da somarello delle strade cittadine; pensando all’assenza e agli assenti in un silenzio che si scontra con il rumore assordante del clacson che m’avverte quando, intontita, attraverso le strisce pedonali con il semaforo per i pedoni rosso da una vita, che anche un non vedente se ne sarebbe accorto. Intanto, salva da un potenziale investimento, riportata alla realtà dagli insulti dell’autista, con nonchalance proseguo il cammino. Comincio a fare i conti degli assenti della mia vita. Uno, due, tre... sono molti! C’è chi è stato espulso, ed anche con sommo piacere. C’è chi è andato via spontaneamente, coloro che hai perso per strada, quelli con cui hai un rapporto ad intermittenza, quelli che, tutto sommato, stai bene anche senza. E, ti rendi conto, che nelle assenze degli assenti ci sguazzi abbastanza bene. L’assenza è una colpa tua. Colpa tua che non metti radici, che viaggi, perché per te niente è mai abbastanza. Colpa tua, che non  dai tempo ai rapporti di terminare la cottura: ti piacciono abbastanza al dente, le conoscenze. Non è così da una vita: è la storia della tua vita. Ho una repulsione nei confronti delle certezze e della staticità, del camino in casa e delle pantofole consumate. È un bene? Forse sì, forse no. Ciò che è sicuro, però, è che tutto ciò mi impedisce di instaurare relazioni stabili e con un minimo di speranza di vita.  Abortiscono tutte al primo giro di boa. E puntualmente ritornano le assenze e gli assenti.

E resti di nuovo da sola?

No. Sei già pronta per altre presenze e preparata a goderti la loro trasformazione in tante, diverse e sorprendenti assenze.