È l’una di notte. Dormire? Non ne parliamo nemmeno:
terremoto, purtroppo, non è una parola che fa rima con il verbo dormire o
qualsiasi altra locuzione presente nel paradigma del sonno.
Sono giorni che tento di farmi venire in mente un soggetto
intelligente su cui scrivere. E sono giorni che niente soddisfa la mia vena da
scrittrice sfigatella e alle prime armi. Potrei scrivere della mia nevrosi da
universitaria, potrei scrivere della mia insoddisfazione da ventitreenne,
potrei scrivere dei pensieri insulsi che mi passano per la testa, potrei
scrivere della mia strana ossessione a studiare e osservare per ore le persone
che mi passano accanto. Potrei scrivere della paura di perdere o sbagliare
treno, della dose quotidiana di imbranataggine e goffaggine che mi porto nella
borsa. Potrei scrivere di guerra e pace, di onesti e disonesti, ragionare sui
massimi sistemi, parlare dell’aumento della benzina, della nuova IMU.
E, invece, mi va di scrivere dell’assenza e
degli assenti.
L’assenza è una condizione molto più ricorrente di quanto si
possa mai immaginare.
La avverti
maggiormente se la fonte è qualcuno che hai conosciuto ed ora non c’è più. Te la senti addosso
quando hai litigato con qualcuno e pensavi di bastare a te stessa. La porti con te, quando ti sei lasciata a
casa, quando, con le cuffie alle orecchie, immagini come sarebbe il mondo in
tua assenza: qualcuno l’avvertirebbe mai la tua assenza? Così si dimostra che l’assenza è molto più
presente nelle nostre vite di quanto sembri. È molto più presente in quanto è
tangibile, visibile, inascoltabile. L’assenza va a braccetto con un’altra
condizione, il silenzio. Un silenzio molto più rumoroso del caos di qualsiasi
capitale alle otto del mattino.
E’ così, in compagnia del
mio silenzio, che percorro, spesso, i tragitti da somarello delle strade
cittadine; pensando all’assenza e agli assenti in un silenzio che si scontra
con il rumore assordante del clacson che m’avverte quando, intontita, attraverso
le strisce pedonali con il semaforo per i pedoni rosso da una vita, che anche
un non vedente se ne sarebbe accorto. Intanto, salva da un potenziale
investimento, riportata alla realtà dagli insulti dell’autista, con nonchalance
proseguo il cammino. Comincio a fare i conti degli assenti della mia vita. Uno,
due, tre... sono molti! C’è chi è stato espulso, ed anche con sommo piacere.
C’è chi è andato via spontaneamente, coloro che hai perso per strada, quelli
con cui hai un rapporto ad intermittenza, quelli che, tutto sommato, stai bene
anche senza. E, ti rendi conto, che nelle assenze degli assenti ci sguazzi
abbastanza bene. L’assenza è una colpa tua. Colpa tua che non metti radici, che
viaggi, perché per te niente è mai abbastanza. Colpa tua, che non dai tempo ai rapporti di terminare la
cottura: ti piacciono abbastanza al dente, le conoscenze. Non è così da una
vita: è la storia della tua vita. Ho una repulsione nei confronti delle
certezze e della staticità, del camino in casa e delle pantofole consumate. È
un bene? Forse sì, forse no. Ciò che è sicuro, però, è che tutto ciò mi
impedisce di instaurare relazioni stabili e con un minimo di speranza di
vita. Abortiscono tutte al primo giro di
boa. E puntualmente ritornano le assenze e gli assenti.
E resti di nuovo da sola?
No. Sei già pronta per altre presenze e preparata a goderti la
loro trasformazione in tante, diverse e sorprendenti assenze.